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Michele Guido
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TESTO CRITICO

Per raccontare la complessa ricerca e l’affascinante poetica di Michele Guido, si deve partire dall’abbandono temporaneo di alcune concezioni strettamente legate alla cultura occidentale in relazione al concetto di luogo e di vuoto. Lo spazio non è altro che il risultato del luogo e del tempo vissuto, che riflette i nostri stati d’animo e fa riferimento al carattere 間, che in giapponese si pronuncia Ma. Questo ideogramma esprime due componenti simultanee del senso del luogo, il momento in cui la luce lunare passa attraverso una fessura di un cancello, di un ingresso, di una soglia, un intervallo dall’aspetto oggettivo e reale, e al contempo soggettivo, sentito, dettato dalle suggestioni e percezioni individuali.[1] I rapporti con le persone, con la natura, con le cose diventano sfumature di spazi vuoti che non vanno necessariamente colmati nell’immediatezza.[2] Il vuoto, come la luce, non può esistere senza il suo contrario ed è fondamentale l'intreccio dialettico tra vuoto e pieno, tra luce e ombra [3]. In questo intervallo, in quello che potremmo definire spazio zero, si colloca la ricerca di Michele Guido, priva di spessore temporale e spaziale, che trascende i confini culturali e dell’estetica tradizionale occidentale. In questo modo, la dimensione statica della realtà di cui siamo parte, si arricchisce di una nuova prospettiva che ci rende consapevoli di ciò che accade e dell’intima e indissolubile correlazione tra le cose. Il concetto di Ma èdefinibile come passaggio, il tempo che c’è tra una nota e l’altra in una composizione musicale; l’intervallo del respiro in cui creare il perfetto equilibrio. Siamo cresciuti con una concezione di spazio occidentale, anche architettonico, legato al concetto antropocentrico di città ideale, disegno urbano regolato dalla struttura dell’uomo e dalle sue misure. Michele Guido nei suoi lavori sovverte questa concezione vitruviana e inserisce la natura come unità di misura di riferimento. Sezioni di piante, petali di fiori, conchiglie sono perfetti modelli da cui sviluppare architetture e creare una stretta relazione tra natura, geometria ed urbanistica. Le planimetrie delle strutture si sviluppano secondo moduli dettati da sezioni già esistenti in natura, di cui Michele Guido si riappropria servendosene per dimostrare la struttura geometrica che diventa frattale, evolve in immagine, segna intervalli di spazio che a loro volta diventano giardini. La sezione vegetale funge da disegno progettuale per un’architettura che cresce e si dipana dalle nervature delle foglie: è la natura a generare lo spazio che proviene dal corpo stesso della pianta. Michele Guido ci conduce alla scoperta di analogie tra planimetrie e forme naturali. In questo procedimento c’è un terzo fondamentale passaggio che permette di utilizzare la natura per fare natura e di usare le idee ricevute dalla natura per produrre una natura differente: la morfogenesi delle piante detta le proporzioni matematiche architettoniche che definiscono le strutture spaziali geometriche in cui si inseriscono i giardini. Il lavoro di Guido ci coinvolge in quest’affascinante ricerca formale che si serve di moduli a loro volta infinitamente indivisibili e moltiplicabili: mette in luce un disegno del giardino già esistente ma che finora non c’era stato possibile vedere. Il giardino rappresenta un microcosmo, una miniatura del mondo e delle sue gerarchie spirituali.[4] Michele Guido ci svela gli elementi che compongono queste architetture eterne nel progetto “Stellaria Solaris Garden Project” (2016) in cui traspaiono i vari strati progettuali che compongono la sua indagine: gli elementi delle sezioni di fiori e di piante diventano perfetti modelli per la costruzione di templi, cupole, rosoni di cattedrali. Un’antica tecnica orientale che celebra l'arte della disposizione dei fiori si chiama «ikebana», composta da parole che significano «vita» e «fiore» o «pianta»  e  da tre verbi: ikeru (comporre fiori); ikiru (vivere, essere vivi, assumere le proprie sembianze); ikasu (dare le sembianze, aiutare ad assumere le proprie sembianze, rendere visibile la vita); con l’atto del comporre si rende quindi visibile la vita dei fiori.[5] Come in un’antica tecnica tradizionale, Michele Guido ci accompagna nello svelare le costruzioni pre esistenti e già perfettamente strutturate nella natura assemblando gli strati che compongono le architetture permettendoci una nuova lettura della vita naturale che ci circonda e delle opere architettoniche appartenenti alla storia dell’arte. Note: [1] G. Nitschke, Ma: Place, Space, Void, in Kyoto Journal n. 8, Autunno 1988, pp. 33-39. [2] G.C. Calza, Junichiro Tanizaki, in J. Tanizaki, Libro d'ombra, trad. it. Milano 1982, p. 109. [3] F. Cheng, Soufflé-Esprit. Textes théoriques chinois sur l'art pictural, Parigi 1989, pp. 35-36. [4] M. Foucault, Utopie. Eterotopie, Cronopio, Napoli, 2006, pp. 19-20 --------

- Testo di Laura Rositani

DESCRIZIONE DELL’OPERA
Titolo:
“Aldo Calò garden project _1972 / 2018” (2016 – 2018)
Contenuto:
6 fotografie in b/n, cm 34 x 24 su carta ILFORD e 12 fogli in poliestere bimattato Canson cm 34 x 24, serigrafati. Esemplari numerati e firmati sul colophon da 1/21 a 21/21 + 1 pda.

€1.250

Michele Guido (Aradeo, LE – 1976) nel 1997 si trasferisce a Milano e si diploma a Brera; nel 2003 frequenta il master in Landscape Design e, durante gli studi, nel 1999 viene selezionato per la residenza/studio presso il Centro T.A.M. con Eliseo Mattiacci. Dal 2001 al 2007 ha uno studio presso Casa degli Artisti a Milano, dove organizza con J. de Sanna e H. Nagasawa: “Discussione Aperta: il Concetto di MA”, che nel mondo orientale indica un passaggio, un intervallo di spazio-tempo. Questi elementi incidono in modo decisivo sulla genesi del suo lavoro; da qui deriva la sezione degli elementi vegetali, la stratificazione del disegno per ricavare l’elemento modulare che appartiene all’impianto genetico delle piante. 

Le indagini multidisciplinari si sviluppano con progetti più complessi denominati “garden project” basati sulle analogie formali fra il mondo vegetale e la ricerca scientifica, l’origine geografica delle piante ed il rapporto con la cultura di quei luoghi, la biodiversità, ecc. 

I suoi lavori sono stati esposti in diversi luoghi pubblici e privati: Museo MACTE, Termoli (2021) | Museo della Ceramica Savona (2020) | PAV Parco Arte Vivente, Torino per “resistenza/resilienza” (2019) | Palazzo Oneto, Palermo, Manifesta 12 collateral con “ceiba garden project” (2018) | Palazzo Borromeo, Milano con “play in the garden” (2018) | Fondazione Merz, Torino con “pulsar__2017” per Meteorite in Giardino 10 (2017) | ZonaMacoSur, Città del Messico (2016) | Museo CAMUSAC, Cassino per “Rilevamenti #1” (2016) | FAR, Rimini per la Biennale del disegno (2014) | Museo Carlo Zauli, MIC Faenza con “operadelocalizzata garden project” (2014) | Lia Rumma Gallery, Napoli per “senza titolo” (2013) | Fondazione Plart, Napoli per “Botanica” (2011) | Accademia di San Luca, Roma per “Segnare/Disegnare” (2009) | Museo della Permanente, Milano (1999, 2001, 2011).

Inizia a collaborare con la Galleria Z2O Sara Zanin di Roma e presenta la prima personale nel 2009, poi nel 2013 e nel 2015 la bi-personale con Hidetoshi Nagasawa; dal 2013 è rappresentato anche dalla Galleria Lia Rumma, Milano/Napoli. Nel 2020 vince il Premio per il Museo della Ceramica di Savona ed il Premio Anna Morettini, nel 2010 il Premio Rotary Brera Christian Marinotti, nel 2008 il II Premio per la Scultura dalla Fondazione Arnaldo Pomodoro. 

I suoi lavori sono stati acquisiti dal Museo del ‘900 di Milano, dalla Fondazione Plart di Napoli, dalla Fondazione Biscozzi-Rimbaud a Lecce, ecc. 

Tra le residenze: nel 2018 partecipa a Grand tour en Italie, Manifesta 12 collateral, Umana Natura con H. Nagasawa nel 2012, Made in Filandia nel 2011 e in questo periodo è presso la Casa degli Artisti di Milano.

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Giorgia: “Michele qual è un libro che ha avuto grande influenza su di te?”
M.G.: “Arte torna Arte di Luciano Fabbro. Questo è un testo che forse le nuove generazioni conoscono poco, ma fondamentale anche e soprattutto oggi. Per me è stato una specie di Virgilio. Ma anche La conoscenza rovesciata di Nagasawa e Un monumento al monumento di Hecker”.

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