La pratica artistica di Davide Mancini Zanchi slitta tra le mani, attraverso mille facce, e sfugge ad ogni tentativo di categorizzazione. Questa scelta voluta di fluiditá ed ingovernabilitá si riflette attraverso la moltitudine di materiali utilizzati e mescolati, in una spinta guidata da una semplice motivazione: la curiosità .
La domanda di partenza è “che cos’è un’opera d’arte?”. Da qui emergono tutte quelle che sono le installazioni di Zanchi: tentavi di risposta, espressioni artistiche e formali che si autoalimentano in un domandarsi infinto, quasi contradditorio.
Questi lavori sono la materializzazione di esperimenti, abbozzi di domanda e di risposta, che rimangono però sempre instabili, perché se così non fosse, non avrebbero forse senso di esistere.
La domanda, dunque, è trasversale ed è ció che traina la pratica di Zanchi in praterie sconfinate, dove la materialità e la concettualità si fondono.
Questa curiositá e sperimentazione si manifesta come un guizzo che perlustra oggetti (Ombrello, 2019) o ipotetiche costellazioni (Le mie stelle da vicino non son poi così romantiche), nella materia e nella sua lavorazione sempre diversa ha luogo la battaglia che è poi il fare arte.
Questa irriverente voglia di scoprire assume toni variopinti, spesso letti come ironici. Ma il lavoro di Davide non è ironico, l’ironia è negli occhi di guarda: è una conseguenza delle scelte, non la sua causa.
Nella sua pratica la ricerca si fonde nella materia, trainata non dalla volontá predeterminata del fare, ma dal piacere dello scoprire. Il modellare palline di carta masticate o il dipingere con pistole ad acqua sono azioni di radicale libertá, non di premeditato sarcasmo.
Quello che davvero connota il lavoro di Davide è questo: un entusiasmo infantile, infantile in quanto libero, nei colori, nella tecnica, negli strumenti usati, fino al titolo (Le mie stelle da vicino non sono poi cosĂ romantiche - o oggi posso dipingere anche se non so bene cosa).Â
In un tentativo di descrizione, e non di categorizzazione, si potrebbe concludere quindi cosĂ: che l’opera di Davide è come i palloncini che a volte usa, libera di prendere la direzione che piĂş gli piace perchĂ©, ancora, quell’angolo di cielo non lo ha conosciuto.
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- Testo di Sara Van Bussel